Ipazia: La prima martire della libertà di pensiero
by Augusto Agabiti
2020-05-30 04:46:10
Ipazia: La prima martire della libertà di pensiero
by Augusto Agabiti
2020-05-30 04:46:10
Ipazia non è la sola donna greca che rappresenta il pensiero occultista: v'era stata prima la bella e sdegnosa Teano, moglie di Pitagora; Diotima, ispiratrice di Platone; e infine, con altre, Asclepigenia, figlia di Plutarco d'Atene, che d...
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Ipazia non è la sola donna greca che rappresenta il pensiero occultista: v'era stata prima la bella e sdegnosa Teano, moglie di Pitagora; Diotima, ispiratrice di Platone; e infine, con altre, Asclepigenia, figlia di Plutarco d'Atene, che diresse ivi la scuola segreta di spiritualismo greco-orientale, chiosando il famoso volume degli Oracoli Caldei. Ma scarsi, e d'indagine difficile, sono i documenti, le notizie che abbiamo su Ipazia: molto poco ella è conosciuta e ammirata nei nostri tempi. Le Parche, dicevano gli antichi Greci, divinità misteriose, tessono, tessono in telai d'alabastro, con fili bianchi e rossi, una tela mortale: per dare vesti, veli, alle scintille del Cielo, alle anime. Il telaio d'alabastro è lo scheletro umano, i fili policromi sono i nervi, sono le vene e i fasci di fibre della carne. Talvolta non scintille cadono stelle, prive del natural fuoco distruttivo, ma costituite di sola luce. Che in questo basso mondo terreno perfezionino nelle esperienze del dolore anime rozze, è di regola; d'eccezione invece la discesa quaggiù di enti pel completo evoluti, sostanze costruite di soave melodia. Quando tal fatto avviene c'è una ragione: sono pure Essenze, dicevano i Greci, sono Eroi, uomini cioè molto vicini agli Dei, e che scendono o per purificare la Terra dai mostri, come Teseo ed Ercole, o per servire altri d'esempio: Lino, Museo, Orfeo... Questi spiriti eccelsi, per vie diverse, con la musica o con l'architettura, la matematica o la poesia o la forza, compirono la missione celeste, espresso la copia delle idee sempiterne che portarono nella mente dall'alto. Molte, nel mondo, appaiono spiccate e preclare, le inclinazioni dell'animo umano; e per quante ve ne sono di singolari, tante classi enumeriamo di uomini. Chi alle opere rudi; chi alle arti gentili. Viene alla vita, pieno di forza, esuberante, alcuno ch'è pronto alle lotte sanguinose; e giunge pure qui, con naturale di squisiti sentimenti, tale ch'è fatto per commuovere e per affratellare. Saranno: quegli che in altre esistenze molto ha lottato, guerriero, e filosofo o poeta questi che anni diede alle meditazioni ed agli intensi amori. Così dai primi tempi storici: e avviene tuttora. Ma anche fra i più nobili uomini eccellono alcuni, i quali ebbero riepilogate nella mente tutte le facoltà supreme. Sono quelli che sanno praticare gentili virtù femminili nei contatti con gli altri, e per sé quelle virili. Hanno il giaco, per usare un paragone medievale, sotto il giustacuore di velluto! Armonizzano, raccolgono essi tutte le doti sublimi dell'anima, formate nella personalità con tanti affanni, nelle vite passate, e di più v'aggiungono, quale vittoria ultima e nuova della propria evoluzione spirituale, la coscienza dell'essere proprio e della missione divina. La dottrina reincarnazionista della scuola filosofica neoplatonica, alla quale appartenne Ipazia, può solo spiegare certi ricorsi storici altrimenti sibillini, e soprattutto il mistero di alcune vite eroiche, dei grandi lottatori per la liberazione morale e spirituale dell'Umanità. Occultista, matematica, oratrice, di tale schiatta spirituale è la greca Ipazia alessandrina, la quale per essere stata della gloriosa schiera dei pensatori pagani riformatori del platonismo, e aver difeso dalla cattedra la libertà di coscienza e di scienza, straziata, dalla plebaglia cristiana, incominciò la lunga e pietosissima serie dei martiri della Ragione. I pochi materiali storici qui raccolti serviranno a dare un'evanescente e imprecisata idea della personalità spirituale e mentale spiccata, della perfetta figura etica della grande assassinata; ma nondimeno saranno bastevoli, speriamo, a dimostrare che fu ispirato Vincenzo La Bella quando scelse come soggetto per un affresco del palazzo nuovo destinato a sede dell'Università di Napoli, la scena straziante e grandiosa della fine d'Ipazia in un tempio, sotto la clave e i pugnali dei settari nazareni.
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